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La strega Succhiavita e lo scudo della luce

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La strega Succhiavita e lo scudo della luce

C'era una volta un bosco di pini e di abeti rossi che si estendeva in una vasta valle circondata da alte cime montuose. Gli alberi arrivavano fino a cinquanta metri e, nelle giornate di vento, i loro tronchi emettevano una musica dolce che ricordava quella del mare sul bagnasciuga. Lì la vita degli animali scorreva tranquilla, modulata sul passaggio delle stagioni. Sembrava che niente potesse scalfire quel ritmo ancestrale, ma, all'improvviso, un evento inatteso sgretolò ogni certezza.
Quell'inizio giugno piovve per diversi giorni di fila e, successivamente, il cielo non tornò limpido, ma restò velato da uno strato di grigio. Fu così che il vecchio e saggio gufo decise di convocare un'assemblea di tutti gli animali del bosco sotto il larice secolare. In quelle rare occasioni si trovavano fianco a fianco caprioli e lupi, volpi e lepri, vipere e topolini: era infatti proibita ogni aggressione. Tom il cervo, Lella la talpa e Nina la cincia erano, come sempre, insieme e, aspettando l'inizio dell'assemblea, avevano improvvisato un'allegra e furiosa battaglia di pigne secche. Ma, quando il gufo iniziò a parlare, subito calò il silenzio, perché il suo tono era drammatico. “Cari animali del bosco – esordì – devo darvi brutte notizie. Ci siamo tutti accorti che da qualche giorno il cielo non è più lo stesso e l'altro ieri ho chiesto all'aquila di controllare lassù tra le cime. Ebbene oggi è tornata – sospirò, facendo una pausa – . Pare che sulla vetta del Monte Tempesta sia arrivata una Strega Succhiavita. Tutto intorno a lei è diventato nero, ad alta quota non ci sono più prati, cespugli, pini mughi e anche il fischio delle marmotte è spento. Non è rimasto niente. Niente. Sembra che la strega succhi l'essenza vitale di ogni creatura per preparare un filtro magico potentissimo. Siamo in grave pericolo. Nessuno sa come combatterla. Sappiamo solo che lascia freddi deserti dietro di sé, prima di spostarsi altrove. Io propongo di andare nel fondovalle, fintanto che passi la tormenta. Domattina inizieremo la grande migrazione. Mi dispiace molto, ma non vedo alternative”. E, dopo un ultimo rauco lamento, il gufo si chiuse in un sordo silenzio.
Gli animali, superato l'iniziale sgomento, si rianimarono e cominciarono a commentare l'accaduto. Molti dichiararono che non si sarebbero spostati per nessun motivo al mondo e che sarebbero rimasti a lottare contro la strega. Altri scuotevano la testa, già rassegnati a partire. La discussione si trascinò per ore, ma poi, lentamente, il sonno si posò sugli occhi come neve pesta.
Al risveglio gli animali non trovarono più il mondo di prima. Il Monte Tempesta era devastato, come se la desolazione avesse brucato ogni cosa. E il buio stava scendendo, velocemente. Era chiaro che la strega non intendeva fermarsi. Fu così che gli animali decisero di lasciare ogni cosa e partire. Tutti prepararono i bagagli, anche quelli che la notte precedente avevano giurato che mai se ne sarebbero andati. Tom, Lella e Nina si erano dati appuntamento per colazione. Enorme fu lo shock quando videro la gigantesca macchia nera sopra di loro, così come la sorpresa nel constatare che tutti gli animali si erano già disposti in file caotiche, pronti a mettersi in marcia. Invano provarono a farli desistere, ma fu tutto inutile e a mezzogiorno il bosco si era svuotato. I tre amici, però, non volevano abbandonare il loro amato mondo e, seppur combattuti, scelsero di restare. Ma come fermare la strega cattiva? Rimasero qualche minuto in silenzio, poi Tom il cervo cominciò a parlare: “Ho un'idea. È un'idea strana, ma non mi viene in mente niente di meglio. Mio nonno che aveva vissuto gli anni del Grande Inverno ripeteva sempre che il gelo non annienta chi sa farsi fuoco. Secondo me la strega, prima di succhiare la vita, ne offusca la luce, la musica, la forza segreta. E poi colpisce. Vedete come sembra spenta la nostra valle? Gli abeti non suonano più, gli uccelli sono fuggiti, i colori sono sbiaditi. Io credo che se riusciamo a mantenere uno spazio luminoso attivo a difesa del bosco, la strega non riuscirà a distruggerci, ma sarà costretta ad arretrare”. Lella la talpa si grattò la testa non proprio convinta. “Mi sembra una teoria strana – bofonchiò – . Se quello che dici è vero, allora perché noi siamo ancora qui? Non dovremmo anche noi sentirci deboli e confusi, non dovemmo anche noi...”. E qui si interruppe non trovando più le parole. Nina la cincia, intanto, iniziando a sbadigliare, aggiunse: “In effetti è da molto che non mi sentivo così stanca, farei volentieri un pisolino...”. “Sveglia! – urlò Tom – Non possiamo dormire, è quello che vuole la strega. Non so bene neanch'io perché noi siamo qui, ma credo che ci sia un motivo. Forse, forse.... – aggiunse il cervo un po' imbarazzato guardando negli occhi Lella e Nina – è perché siamo così amici. Voglio dire che l'amicizia ci ha protetti, ci ha reso più forti”. La talpa e la cincia incontrarono gli occhi del cervo (Lella, in realtà, colse solo un lampo dentro un alone) e capirono in modo istintivo e misterioso che Tom aveva ragione. Un senso di calore li avvolse.
Dopo aver mangiato qualcosa, si misero in marcia, incalzati da euforia e terrore. Avanzavano contro questo serpente scuro che calava dalle cime. Il silenzio intorno era denso come una colla. Fu per darsi forza che la cincia iniziò a cinguettare. Passo dopo passo anche gli stonati Tom e Lella gli andarono dietro e il canto si fece corposo. Il cielo era grigio e una strana foschia gravava sul paesaggio. I colori della natura parevano svaniti. I tre amici si strinsero sempre più; la cincia e la talpa salirono sul dorso di Tom e si aggrapparono al suo mantello. In breve la nebbia li ricoprì: era fredda, appiccicosa, inodore. Contemporaneamente una specie di ghigno malvagio prese a sferzare l'intera vallata. Tom lottò con tutto se stesso contro l'impulso di fermarsi e dormire. Continuarono a cantare, a gola serrata. Non si vedeva più nulla e allora fu la talpa, con i suoi miseri occhietti a dare indicazioni a Tom perché andasse avanti. Erano ormai usciti dal sentiero e salivano alla cieca roccia dopo roccia, tornante dopo tornante, frustati dalla risata spaventosa della strega. La talpa guidava, la cincia cantava, il cervo avanzava disperatamente. Salirono e salirono fino ad arrivare sul passo più alto della valle. La cima del Monte Tempesta si ergeva, invisibile, sopra le loro teste. Raffiche di vento gelido graffiavano i tre amici. Ad un certo punto le ginocchia del cervo si piegarono, la cincia e la talpa si ancorarono ancora più forte al manto dell'ungulato. In poco tempo si ritrovarono tutti e tre rannicchiati attorno ad un grande pietra. Il becco della cincia si muoveva ancora, anche se non usciva più suono. Restarono a lungo così avvinghiati, aspettando qualcosa che non sapevano immaginare. Infine il vento cessò e una lama di sole inondò le vette più alte. Poi lentamente si espanse fino a scaldare i tre amici. Fu la cincia la prima a riaversi. Mosse le ali, alzando nera fuliggine. Poi il cervo scosse il collo e questo movimento fece scivolare la talpa a terra. “Ehi, ma che modi sono questi, perbacco!” protestò la talpa. Il cervo si alzò e la prima cosa che vide fu lo stretto sentiero che avevano percorso, zigzagando sul costone. Brillava intensamente. Il resto della valle era ancora scuro, ma in alto il cielo era tornato limpido e non regnava più quel cupo senso di morte. “La strega non c'è più” mormorò la talpa, annusando l'aria e la cincia e il cervo annuirono. “Andiamo – disse quest'ultimo – torniamo a casa”. Cominciarono a scendere, lentamente, stremati, ma con una sensazione di gioia nel cuore. E successe una cosa meravigliosa: ad ogni passo che facevano rispuntava l'erba intorno. E poi sbucarono i primi fiori: genziane, botton d'oro, anemoni... Più avanzavano e più sperimentavano il miracolo della vita che rinasceva. Per l'emozione la cincia volteggiava qua e là come ubriaca. Era già pomeriggio inoltrato quando furono di nuovo al leccio secolare. C'erano le verdi foglie, i fiori, le bacche. Mancava, però, ancora qualcosa di essenziale. I tre amici si guardarono intorno, sbirciando tra i cespugli con una certa apprensione. Fu la cincia a dare l'annuncio: “Una farfalla! Una farfalla! Guardate lassù!”. Subito dopo apparve un'ape. Anche gli animali stavano tornando. Il cervo sorrise e, finalmente sollevato, si adagiò all'ombra del vecchio leccio. Lo stesso fecero la talpa e la cincia. Quest'ultima, prima di chiudere gli occhi, lanciò uno sguardo verso il Monte Tempesta. Le parve di scorgere qualcosa che si alzava in volo, come un puntino nero nel vasto cielo azzurro. Non fece in tempo a vedere altro. Come i suoi amici cadde in un sonno profondo, cullata dal suono del torrente poco lontano. La musica della foresta era tornata.

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